Mompox no existe 
A veces soñamos con ella pero …
Arrivare a Mompox senza smadonnare è possibile farlo solo da Cartagena. Quando provai ad andarci sette anni fa, non era ancora stata costruita la strada che collega questa città-isola riarsa dal sole alla terra ferma, e dovetti abbandonare l’impresa perché non vi era nessun indicazione su come poterla raggiungere. Arrivo la sera e il caldo mi travolge; eppure vengo dalla costa dove il mio stato naturale è quello di Fontana di sudore. Sul bus riconosco subito un italiano che ad ogni fermata cercava di scendere a fumare. Inutilmente. Lo ritrovo il giorno dopo che vado a fare sto tour lungo il Rio Magdalena di avvistamento aves, iguane e qualche scimmietta. La vita lungo il Rio scorre tranquilla: molta la gente (adulti e non) che si dedica alla pesca con diversi metodi: rete, stecchini posti ad hoc nell’acqua, canne rudimentali… 
Dall’altra parte del fiume rispetto la città vi è la “campagna” dalla quale raccolgono i frutti e i vegetali che poi ti ritrovi nel piatto quando vai a mangiar fuori, al mercato e nelle cucine all’aperto, dove donne e ragazzi tagliano, grigliano, friggono. Profumi di cipolla abbrustolita e lardo si mischiano alla corrente calda. Mi siedo a un tavolo di plastica. Arriva subito una ciotola di zuppa di pesce, il brodo color ambra, le spine che galleggiano come relitti. Non è male, nemmeno troppo salato, ma potrei bere una diga d’acqua dopo. Da qualche parte una radio gracchia vallenato e un vecchio, con baffi bianchi che sembrano fatti di bambagia, canta tutte le strofe senza voce. La città ha qualcosa di sonnacchioso, di sospeso; la polvere finissima si posa su tutto, sulle barche tirate a lucido lungo il Rio, sui palazzi dentro i quali intravedo dei viridarium invidiabili.
M’azzardo a comprare un gelato, perché attirata dallo slogan sulla lavagnetta nera posta sulla strada che costeggia il fiume: “AMA, he-lado bueno de la vida”. I gelati in Sud America sono cari e non sono all’altezza dei nostri. Penso sempre che sia una follia, visto la frutta di cui dispongono che noi non possiamo neanche sognarci, o al massimo arriva via aerea perdendo quel gusto che tutti i prodotti freschi importati non riescono a trattenere inalterato.
Ritorno all’ostello dove ho una camera abbastanza grande, con bagno, tutta per me. Si sta bene con l’aria condizionata. Fuori questa città sembra ancor più calda la notte rispetto al giorno. Prima di rientrare però mi fermo a scattare qualche foto notturna della chiesa di Santa Barbara, che da fuori sembra una torta di marzapane color crema con decorazioni fatte di meringa. Il disegno di questo tempio è particolare: è costituito dalla chiesa e una torretta ottagonale che sta sul lato destro, qualcosa d’insolito e completamente diverso dalle altre chiese presenti nella cittadina. La torre, che al centro presenta un balcone in legno, coperto da una piccola tettoia, e con tre finestre chiuse una accanto all’altra, sotto il quale spuntano degli altorilievi rappresentanti quattro teste di leone, sta a rappresentare la storia della Santa a lei dedicata. Il soffitto ligneo, dai caratteri arabeggianti ci riporatano anche al nome “albarradas” con cui s’indicano le muraglie che costeggiano il Rio.
A Mompox un tempo, prima dell’arrivo a metà del XIX secolo, dei battelli a vapore, era situata la sede della dogana nella quale confluiva il fiume d’oro proveniente dalle miniere dell’interno e dove veniva effettuata l’operazione detta - Quintaje del oro -.
La nuova tecnologia e il disboscamento selvaggio, realizzato per alimentare le caldaie dei battelli fecero spostare il traffico fluviale sull’altra riva e il sonno della sua calura senza tregua avvolse la città: un lugar ardiente, cuyas aldabas se torcian de calor.
Ancora resiste l’arte orafa, d’origine ispano-moresca introdotta dai colonizzatori sivigliani, che si è fusa con una millenaria tradizione indigena.
La raffinata filigrana tramanda tecniche e disegni nei quali il metallo, ridotto in fili sottilissimi, assume una levità quasi eterea, come quella dei pesciolini d’oro fabbricati dal colonnello Aureliano Buendia nei suoi ultimi anni di vita.
La notte a Mompox ha una sua luce: è diafana come latte annacquato, e trasforma ogni cosa in una specie di acquerello scolorito ma persistente. Gli insetti, giganti e indolenti, sbattono contro i lampioni e poi si posano sulle persiane di legno, lasciando per qualche minuto una macchia di vita. Nelle ore più tarde, quando ogni rumore sembra spento, la città si fa improvvisamente minuscola.
Pur trascorrendoci solamente tre giorni avverto che qua si vive in una dimensione particolare: il tempo pare scandito dalla ritmica oscillazione della mecedora momposina, immancabile in ogni casa. Questo suono rieccheggia in testa durante il sonno, mi sveglio e guardo le pareti bianche della mia stanza. Dove mi trovo? 
Mompox no existe.
Back to Top